domenica, 29 Settembre 2024

Nick Cave e l’epifania del dolore: “Wild God” segna una nuova fase creativa

Dopo la collaborazione con Warren Ellis, il “geniale creatore di caos” che ha contribuito a ridisegnare il panorama sonoro di Cave negli ultimi anni, Wild God segna il ritorno di Nick Cave and the Bad Seeds.

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Nick Cave, nell’intervista rilasciata ad Amanda Petrusich per il New Yorker, riflette sull’impatto trasformativo del dolore, che lo ha cambiato a un livello profondo, quasi atomico. Chiunque conosca il cantautore australiano, sa quanto il lutto per la morte del figlio adolescente Arthur nel 2015 abbia segnato il suo percorso personale e artistico. Quest’esperienza si è riflessa nei suoi ultimi lavori, come Skeleton Tree e Ghosteen, dischi che hanno esplorato l’abisso della perdita attraverso un linguaggio musicale magnetico e austero, fino a trovare nuove espressioni liriche e compositive.

Dopo la collaborazione con Warren Ellis, il “geniale creatore di caos” che ha contribuito a ridisegnare il panorama sonoro di Cave negli ultimi anni, Wild God segna il ritorno di Nick Cave and the Bad Seeds. Accanto ai membri storici come Thomas Wydler, Jim Sclavunos e Martyn Casey, si affiancano nuove presenze come Colin Greenwood dei Radiohead e Luis Almau, mentre i cori del Double R Collective, diretti da Wendi Rose, arricchiscono il tessuto sonoro. L’album sembra indicare una continuità con il passato, richiamando a tratti l’atmosfera di lavori come Let Love In e The Lyre of Orpheus, ma proiettando la musica verso nuovi territori, tra arpeggi liquidi e chitarre psichedeliche.

Nei dieci brani che compongono Wild God, emerge una dimensione corale e mistica. L’ouverture, Song of the Lake, imposta il tono musicale dell’intero album, con un crescendo maestoso e avvolgente che culmina in pezzi come Joy e la title track, dove esplode un senso di esaltazione spirituale. In particolare, Joy si pone come il brano centrale, perché rappresenta lo scarto rispetto ai lavori recenti e introduce il tema della gioia, un sentimento che arriva dopo il dolore e la perdita. Cave, infatti, ha perso un altro figlio, Jethro, nel 2022, rendendo ancora più intenso il tema della trasformazione attraverso la sofferenza.

La gioia di Wild God non è superficiale o consolatoria, ma travolgente, quasi divina, in linea con l’intento sacrale del disco. Il crescendo orchestrale e corale diventa il leitmotiv del lavoro, uno slancio verso il melodramma sacro e cerimoniale, dove la musica si intreccia con una spiritualità profonda. Cave, nella sua rinnovata audacia creativa, esplora nuove forme musicali, pur mantenendo una coerenza con il suo percorso degli ultimi anni, ribadendo il discorso compositivo intrapreso da Push the Sky Away fino a Carnage.

Nonostante Wild God possa apparire meno monumentale rispetto a Skeleton Tree o Ghosteen, è un’opera che ribadisce la capacità di Nick Cave di reinventarsi, di trasformare il dolore in arte e di trovare nella musica una via di espressione sempre più elevata e spirituale.